
La resistenza popolare contro l’“Asse della resistenza”
La causa palestinese si è affidata all’asse che fa capo all’Iran. Ma questa strategia è fallita perché Teheran e i suoi alleati sono preoccupati soprattutto dei propri interessi. Serve una nuova strategia, popolare, di massa e dal basso.
L’accordo di cessate il fuoco tra Hamas e Israele, che ha condotto una guerra genocida contro i palestinesi a Gaza per oltre un anno, pone questioni strategiche per la lotta di liberazione palestinese e per coloro che sono solidali con essa. Finora, la strategia dominante è stata quella di coltivare un’alleanza con il cosiddetto “Asse della Resistenza” dell’Iran per sostenere gli attacchi militari contro Israele, ma quella rete ha subito battute d’arresto devastanti dalla potenza combinata di Israele e Stati Uniti
I ripetuti assassinii di leader iraniani da parte di Israele e gli attacchi diretti all’Iran stesso hanno messo in luce le debolezze e le sfide che l’Iran deve affrontare nella regione. La brutale guerra di Tel Aviv contro il Libano ha danneggiato in modo significativo Hezbollah, il “gioiello della corona” dell’Asse iraniano, e ha punito collettivamente il popolo libanese, in particolare la base di Hezbollah nella popolazione sciita del paese. La caduta dell’altro stretto alleato regionale dell’Iran, Bashar al-Assad, ha ulteriormente minato l’Asse. Solo gli Houthi nello Yemen sono sopravvissuti all’assalto rimanendo relativamente intatti.
Israele, certamente, non ha raggiunto i suoi obiettivi principali a Gaza, ovvero distruggere Hamas e procedere alla pulizia etnica della popolazione, ed è stato screditato e delegittimato a livello globale come stato genocida, coloniale e di apartheid. Tuttavia, la strategia di resistenza militare a Israele basata sul sostegno dell’Asse ha mostrato i suoi limiti, se non addirittura la sua incapacità di ottenere la liberazione. Quindi, cosa abbiamo imparato su questa strategia? Qual è il suo futuro? Cosa pensano le masse della regione di questo Asse? Qual è l’alternativa alla strategia militare contro Israele? Come dovrebbe posizionarsi la sinistra internazionale in questi dibattiti strategici?
Origini e sviluppo del cosiddetto “Asse della Resistenza” dell’Iran
Negli anni 2000, il regime iraniano ha ampliato la sua influenza in Medio Oriente, principalmente attraverso il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (Irgc). Ha tratto vantaggio dalla sconfitta subita dagli Stati Uniti e dai suoi alleati nella cosiddetta Guerra al terrorismo in Medio Oriente e in Asia centrale. L’ambizione di George Bush per un cambio di regime regionale è stata bloccata dalla resistenza all’occupazione statunitense dell’Iraq e dell’Afghanistan. L’Iran si è assicurato alleanze con i vari partiti e milizie fondamentaliste islamiche sciite dell’Iraq e i loro rappresentanti nelle istituzioni statali, diventando la potenza regionale più influente del paese.
L’Iran ha anche aumentato la propria influenza in Libano in particolare attraverso la sua alleanza con Hezbollah, cresciuta in popolarità dopo la resistenza alla guerra di Israele contro il Libano del 2006. Dalla metà degli anni ’80, Teheran ha sostenuto Hezbollah, fornendogli finanziamenti e armi. Negli anni 2010, il regime iraniano ha anche rafforzato le relazioni con altre organizzazioni nella regione, in particolare il movimento Houthi nello Yemen, soprattutto dopo la guerra del 2015 da parte dell’Arabia Saudita contro il paese. Da allora, l’Iran ha fornito agli Houthi supporto militare. Inoltre, Teheran ha stretto una forte alleanza con Hamas nei territori palestinesi occupati.
L’alleanza regionale dell’Iran ha raggiunto il suo apice alla fine degli anni 2010 con Hezbollah che dominava la scena politica in Libano, le milizie irachene che affermavano il loro potere, le forze dell’Iran unite a quelle di Hezbollah che sostenevano la controrivoluzione di Assad in Siria e gli Houthi che garantivano una tregua con l’Arabia Saudita. L’Irgc ha rappresentato il principale fattore del consolidamento dell’Asse. In qualche misura si è configurato in Iran come uno Stato nello Stato unendo forza militare, influenza politica e controllo su un importante settore dell’economia nazionale. Ha effettuato interventi armati in Iraq, Siria e Libano.
Per il potere regionale, non per la liberazione
L’Iran ha tentato di raggiungere un equilibrio di potere regionale contro Israele e gli Stati Uniti, oltre a perseguire i propri obiettivi militari ed economici nella regione. Il regime infatti vede ogni sfida alla sua influenza in Iraq, Libano, Yemen e Striscia di Gaza, che provenga dal basso da parte di forze popolari o venga da Israele, altre potenze regionali e dagli Stati Uniti, come una minaccia ai propri interessi. La sua politica è interamente guidata dai propri interessi statali e capitalisti, non da qualche progetto di liberazione.
Ciò spiega perché l’Iran e i suoi alleati nell’Asse si oppongono non solo alle altre potenze antagoniste, ma anche alle lotte popolari per la democrazia e l’uguaglianza. Il regime iraniano nega ai suoi lavoratori i diritti fondamentali di organizzarsi, contrattare collettivamente e scioperare. Reprime ogni protesta, arrestando e incarcerando i dissidenti, decine di migliaia dei quali languono come prigionieri politici nelle prigioni del paese. Il regime impone l’oppressione nazionale sui curdi e sulle persone nel Sistan e nel Baluchistan, provocando ripetutamente la resistenza, più di recente nel 2019. Sottopone inoltre le donne a un’oppressione sistematica, creando condizioni così intollerabili da aver innescato il movimento di massa “Donna, vita, libertà” nel 2022.
Teheran si oppone anche alle proteste popolari contro i suoi alleati nell’Asse. Ha condannato le proteste di massa in Libano e Iraq nel 2019, sostenendo che dietro di esse ci fossero gli Stati Uniti e i loro per diffondere “insicurezza e disordini”. In Siria, l’Iran ha fornito le sue forze, che provenivano dai combattimenti dell’Afghanistan e del Pakistan oppure i militanti di Hezbollah, come truppe di terra, mentre la Russia mobilitava la sua aeronautica per sostenere la brutale controrivoluzione di Assad contro la rivolta democratica nel 2011.
Anche gli alleati dell’Iran nell’Asse hanno schiacciato i movimenti popolari. In Libano, Hezbollah ha collaborato con il resto dei partiti al governo, nonostante i disaccordi, nell’opposizione ai movimenti sociali in piazza contro il loro ordine settario e neoliberista. Si sono posti, ad esempio, contro l’ Intifada libanese dell’ottobre 2019. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha affermato che la rivolta era stata finanziata da potenze straniere e ha inviato membri del partito ad attaccare i dimostranti.
In Iraq, milizie e partiti alleati con l’Iran, come le Unità di mobilitazione popolare, hanno represso le lotte popolari. Hanno lanciato una violenta campagna di uccisioni e repressione di dimostranti civili, organizzatori e giornalisti, uccidendone diverse centinaia e ferendone diverse migliaia. Sia Hezbollah che le milizie irachene hanno giustificato la repressione delle proteste nel 2019 sostenendo di essere bersagli di potenze straniere. In realtà, si tratta di manifestazioni che lottavano per legittime richieste di riforma, non per sostenere l’agenda segreta di chissà quale altro Stato. Ecco perché gli attivisti hanno gridato slogan come “Né l’Arabia Saudita, né l’Iran” e “Né gli Usa, né l’Iran”.
A dire il vero, l’Iran non è un oppositore coerente o di principio dell’imperialismo statunitense. Ad esempio, ha collaborato con quest’ultimo nelle varie invasioni e occupazioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Così come non è un alleato affidabile della liberazione palestinese. Ad esempio, quando Hamas si è rifiutata di sostenere il regime di Assad e la sua brutale repressione della rivolta siriana nel 2011, l’Iran ha tagliato l’assistenza finanziaria al movimento palestinese.
La situazione è cambiata dopo che Ismael Haniya ha sostituito Khaled Meshaal come leader di Hamas nel 2017, ripristinando relazioni più strette tra il movimento palestinese, Hezbollah e l’Iran. Ma gli scismi tra Iran e palestinesi permangono, soprattutto sulla questione della Siria. Ampie fasce di palestinesi nei Territori occupati e altrove hanno celebrato la caduta dell’alleato dell’Iran Assad, che era ampiamente visto come un tiranno assassino e nemico dei palestinesi e della loro causa.
Inoltre, l’alleanza di Hamas con l’Iran è stata criticata da segmenti di palestinesi a Gaza, anche da quelli vicini alla base di Hamas. Ad esempio, un gruppo di palestinesi ha strappato un cartellone pubblicitario a Gaza City nel dicembre 2020 con un ritratto gigante del defunto generale Qassem Soleimani , che aveva comandato la forza iraniana Quds, pochi giorni prima del primo anniversario della sua morte. L’attacco aereo di Washington che ha ucciso Soleimani a Baghdad nel 2020 è stato condannato da Hamas e Haniyeh si è persino recato a Teheran per partecipare al suo funerale.
Questi gruppi di palestinesi hanno denunciato Soleimani come un criminale. Anche diversi altri cartelli e striscioni con il ritratto di Soleimani sono stati vandalizzati. In un video, adirittura,un individuo ha definito il leader iraniano un “assassino di siriani e iracheni “.
Tutto ciò dimostra che l’Iran e i suoi alleati hanno svolto un ruolo controrivoluzionario in vari paesi della regione, opponendosi alle proteste popolari per la democrazia, la giustizia sociale e l’uguaglianza. Non sono mai stati un Asse della Resistenza, ma un’alleanza impegnata nell’autoconservazione dei propri membri e nell’affermazione del potere regionale.
“L’asse della moderazione”
Questa realtà è stata confermata dalla risposta dell’Iran all’attacco di Hamas del 7 ottobre e alla guerra genocida di Israele a Gaza. Mentre il regime iraniano ha affermato il proprio sostegno ad Hamas e ai palestinesi, ha però costantemente puntato a evitare qualsiasi guerra generalizzata con Israele e gli Stati Uniti per garantire la propria sopravvivenza al potere. Per questo motivo, l’Iran ha limitato le sue risposte ai ripetuti attacchi di Israele contro obiettivi iraniani e di Hezbollah in Siria e ai suoi assassini di alti funzionari iraniani, anche in Iran stesso.
Inizialmente Teheran ha cercato di fare pressione sugli Stati Uniti ordinando alle milizie filo-iraniane in Iraq e Siria di attaccare le basi statunitensi in Siria, Iraq e, in misura minore, Giordania. Tuttavia, dopo gli attacchi aerei statunitensi del febbraio 2024, l’Iran ha ridotto al minimo questi attacchi. Solo gli Houthi nello Yemen hanno continuato a colpire le navi commerciali nel Mar Rosso e a lanciare alcuni missili contro Israele.
L’Iran ha condotto operazioni militari direttamente contro Israele per la prima volta dalla fondazione della Repubblica islamica nel 1979, ma sempre in modo calcolato, progettato per evitare qualsiasi confronto su larga scala (…) In altre parole, l’Iran ha condotto l’attacco principalmente per salvare la faccia e dissuadere Israele dal continuare il proprio attacco al consolato iraniano a Damasco. Così facendo, il regime iraniano ha chiarito che voleva evitare una guerra regionale con Israele e soprattutto qualsiasi confronto diretto con gli Stati Uniti. L’Iran ha agito principalmente per proteggere se stesso e la sua rete di alleati nella regione.
Teheran ha poi lanciato un secondo attacco di quasi 200 missili su Israele il 1° ottobre per “vendicare” gli assassinii di Hassan Nasrallah in Libano e del leader di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran. Sebbene questa sia stata certamente un’escalation da parte dell’Iran, è stata interamente progettata per impedire la perdita della sua credibilità tra i suoi alleati e sostenitori libanesi Hezbollah. Ancora una volta, l’attacco è stato limitato e fatto in modo tale da ridurre al minimo lo scontro con Israele e gli Stati Uniti
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Oltre a ciò, l’Iran ha perso un altro alleato chiave, il regime di Assad in Siria, quando il suo regime è stato rovesciato praticamente senza combattere. Assad non è mai stato un alleato della lotta di liberazione palestinese. Il suo regime aveva mantenuto la pace ai confini con Israele e, nella sua guerra controrivoluzionaria in Siria, aveva attaccato i palestinesi nel campo profughi di Yarmouk e anche altrove. Ecco perché ampie fasce dei palestinesi hanno celebrato la caduta del regime siriano.
Con la caduta di Assad, tuttavia, l’Iran ha perso la base siriana per il coordinamento logistico, la produzione di armi e le spedizioni di armi in tutta la regione, specialmente a Hezbollah. Tutto ciò ha indebolito significativamente Teheran, sia internamente che regionalmente. Ecco perché l’Iran ha interesse a destabilizzare la Siria dopo la caduta del regime fomentando tensioni settarie attraverso le sue reti che sono rimaste nel paese. Non vuole una Siria stabile, specialmente una con cui i suoi rivali regionali possano stringere un’alleanza.
L’unico alleato dell’Iran che rimane relativamente in forze è rappresentato dagli Houthi nello Yemen. Prima del cessate il fuoco, Israele ha ripetutamente bombardato le forze Houthi nel tentativo di indebolire sé stesso e l’Asse iraniano. Nel dicembre 2024, Tel Aviv ha intensificato la sua campagna di attacchi ai porti di Hodeida, al-Salif e Ras Isa controllati dagli Houthi per indebolire la loro base economica, che deriva da tasse portuali, dazi doganali e spedizioni di petrolio, ridurre le loro capacità militari e bloccare le spedizioni di armi iraniane.
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Sebbene l’Iran abbia promesso di reagire contro Israele, alla fine non ha fatto molto, volendo ancora una volta evitare qualsiasi guerra diretta con Israele e gli Stati Uniti. Tutto ciò dimostra che il principale obiettivo geopolitico dell’Iran non è liberare i palestinesi, ma usarli come leva, soprattutto nelle sue relazioni con gli Stati Uniti (…) l’obiettivo principale del presidente Massoud Pezeshkian e della Guida Suprema Ali Khamenei è quello di stringere una sorta di accordo con Washington, fargli revocare le paralizzanti sanzioni sull’economia e normalizzare le relazioni con gli Stati Uniti.
Iran, Russia e la falsa multipolarità
Allo stesso tempo, la posizione indebolita dell’Iran lo ha spinto ancora più nelle braccia della Russia nel tentativo di salvaguardare il suo regime. Ha recentemente firmato un “Accordo di partenariato strategico globale” di 20 anni con Mosca, impegnandosi a cooperare su commercio, progetti militari, scienza, istruzione, cultura e altro. L’accordo include una clausola che promette che nessuno dei due paesi permetterà che il proprio territorio venga utilizzato per azioni che possano minacciare la sicurezza dell’altro, né fornirà alcun aiuto a nessuna delle parti che attaccano uno dei due paesi (…) Ognuno dei due paese cerca disperatamente di trovare una via d’uscita alla propria difficile situazione. L?accordo è parte di questo sforzo. Promette di “contribuire a un nuovo ordine mondiale multipolare giusto e sostenibile”. Questo linguaggio di “multipolarità” è una pietra angolare della strategia geopolitica russa, cinese e iraniana. Viene utilizzato per giustificare la propria economia capitalista, le politiche imperialiste o sub-imperialiste e i programmi sociali reazionari.
Sfortunatamente, alcune figure e movimenti di sinistra hanno adottato questa retorica, promuovendo la visione di un sistema multipolare in opposizione a quello che vedono come un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti. In realtà, l’emergere di più grandi potenze regionali e di un mondo multipolare di stati capitalisti non è un’alternativa all’unipolarità, ma una nuova e francamente più pericolosa fase dell’imperialismo globale. Mentre il dominio senza rivali di Washington era orribile, il crescente conflitto inter-imperiale tra Stati Uniti, Cina, Russia e potenze regionali come l’Iran rischia di portare a una guerra mondiale. L’ultimo ordine mondiale multipolare ha fatto esplodere la prima e la seconda guerra mondiale mentre gli stati imperialisti in lotta si sono battuti per l’egemonia sul capitalismo globale. Inoltre, grandi potenze come la Cina e la Russia che promuovono la multipolarità non offrono alternative per il Sud del mondo né per la working class e le persone oppresse in tutto il mondo. Sono stati capitalisti le cui politiche economiche rafforzano vecchi modelli di sottosviluppo; deindustrializzano i paesi in via di sviluppo, li intrappolano nell’estrazione e nell’esportazione di materie prime in Cina, e poi consumano prodotti finiti importati principalmente dalla Cina. Mentre le classi dominanti di questi paesi in via di sviluppo possono trarre vantaggio da tale accordo, la classe lavoratrice e gli oppressi soffrono di disoccupazione, precarietà e devastazione ambientale.
Più in generale, Cina, Russia e il resto della cosiddetta alleanza Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e altri) non sfidano in alcun modo l’egemonia del Nord globale in istituzioni come il Fmi e la Banca mondiale, né il loro schema neoliberista. In effetti, gli stati Brics stanno effettivamente cercando quello che per loro è il proprio legittimo posto al tavolo del capitalismo mondiale.
L’espansione dei Brics dimostra che non rappresentano una reale alternativa. Nel gennaio 2024, i nuovi membri invitati a unirsi includono Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Nessuno sano di mente può affermare, ad esempio, che lo stato argentino, governato dal folle devoto di Ayn Rand e Donald Trump, Javier Milei, offra una soluzione al Sud del mondo, ai suoi lavoratori e agli oppressi. In realtà, gli stati Brics non sfidano il sistema capitalista globale, ma si contendono la loro fetta di torta al suo interno.
Pertanto, è un errore disastroso per qualsiasi settore della sinistra schierarsi con un campo di stati imperialisti e capitalisti contro un altro. Si tratta di una posizione che non consente alcun progresso dell’anti-imperialismo, per non parlare delle lotte dei lavoratori e lavoratrici e delle classi oppresse in qualsiasi stato. Non dovremmo orientarci a un scelta a somma zero tra unipolarità e multipolarità. In ogni situazione, dobbiamo schierarci con le persone sfruttate e oppresse e con la loro lotta per la liberazione, non con i loro sfruttatori e oppressori.
La nostra solidarietà non deve essere rivolta né a uno dei due schieramenti degli stati capitalisti, bensì ai lavoratori, lavoratrici a tutte le persone oppresse. Chi a sinistra, replica la richiesta di un ordine multipolare da parte di Russia, Cina e Iran, in realtà non fa che allinearsi agli stati capitalisti, alle loro classi dominanti e ai regimi autoritari, tradendo la solidarietà con le lotte delle classi popolari al loro interno. Schierarsi con queste lotte non implica e non dovrebbe implicare il sostegno all’imperialismo statunitense e ai suoi alleati.
Se l’internazionalismo, il segno distintivo dell’essere di sinistra, deve avere un significato oggi, deve comportare il sostegno alle classi popolari in tutti i paesi come un dovere assoluto, indipendentemente dal campo in cui si trovano. Tali lotte sono l’unico modo per sfidare e sostituire le politiche repressive e autoritarie. Ciò è vero negli Stati Uniti così come in Cina o in qualsiasi altro paese. Bisogna opporsi alla ciniche calunnie di regimi su legittime protesta come il frutto di un’interferenza straniera o di una sfida alla loro sovranità. Questa è la politica del nazionalismo di destra, non dell’internazionalismo socialista.
Emancipazione dal basso
Un simile approccio è essenziale, soprattutto con la riconfigurazione del potere regionale in Medio Oriente e il ritorno di Trump al potere negli Stati Uniti. L’Iran e il suo Asse sono stati drasticamente indeboliti. Gli Stati Uniti, Israele e i loro alleati si sentono ora incoraggiati. La posizione dell’Iran nei futuri negoziati con Trump è indebolita e la sua economia continua a deteriorarsi sotto le sanzioni e la sua stessa crisi capitalista. Di fronte a questa difficile situazione, Teheran probabilmente riconsidererà la sua strategia regionale. Potrebbe concludere che la sua opzione migliore potrebbe essere quella di acquisire armi nucleari per rafforzare la capacità di deterrenza e migliorare la sua posizione nei futuri negoziati con gli Stati Uniti.
La sinistra, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, deve opporsi a qualsiasi ulteriore belligeranza da parte di Israele e degli Stati Uniti contro l’Iran o qualsiasi altra potenza regionale. Dobbiamo anche opporci alla loro guerra economica contro l’Iran attraverso sanzioni, che hanno un impatto sproporzionato sulle classi lavoratrici del paese. Nessuno a sinistra dovrebbe sostenere gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali; rimangono i più grandi oppositori di un cambiamento sociale di stampo progressista nel mondo.
Tuttavia, non dovremmo cadere nella logica secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico” e sostenere quindi il principale rivale imperiale di Washington, la Cina, né nemici minori come la Russia. Non sono stati imperialisti meno predatori e avidi, come attesta il record di Pechino nello Xinjiang e a Hong Kong, così come quello altrettanto brutale di Mosca in Siria e Ucraina. Nessuno a sinistra dovrebbe sostenere il regime autoritario, neoliberista e patriarcale iraniano e le sue politiche reazionarie e repressive contro il suo stesso popolo e quelli di altri paesi come la Siria.
La Repubblica islamica dell’Iran è nemica delle classi lavoratrici in Iran e nella regione e non sta combattendo per l’emancipazione del suo popolo. Lo stesso vale per gli alleati dell’Iran come Hezbollah nella regione, che hanno tutti svolto un ruolo controrivoluzionario nei rispettivi paesi.
Nella situazione attuale, è probabile che nel breve termine l’imperialismo statunitense trarrà vantaggio dall’indebolimento dell’Iran e della sua rete regionale. Allo stesso tempo, la crisi del capitalismo nella regione rimane irrisolta, la disuguaglianza continua a crescere e, con ciò, le lamentele tra i lavoratori e lavoratrici e le persone oppresse aumentano di giorno in giorno. Tutto ciò continuerà a produrre lotte esplosive come negli ultimi quindici anni. Quindi, mentre ci opponiamo agli imperialismi e alle potenze regionali degli Stati Uniti e di altri, la nostra solidarietà deve andare alle lotte popolari che ampliano lo spazio democratico per auto-organizzarsi e costituire un contropotere alle proprie classi dominanti e ai loro sponsor imperiali.
Quale strada da seguire per la liberazione della Palestina?
Solo una strategia del genere ha la possibilità di trasformare l’ordine esistente della regione in modo progressivo e democratico. È anche la pietra angolare di una strategia alternativa per la liberazione palestinese a quella fallita di affidamento all’Asse iraniano.
Come ha dimostrato l’anno scorso, Israele non dipende solo dagli Stati Uniti, il suo sponsor imperiale, per difendere il proprio dominio coloniale, ma anche da tutti gli stati circostanti. Questi hanno tutti normalizzato le relazioni con Israele, raggiunto accordi di mutuo riconoscimento di fatto oppure esibito, al massimo, un’opposizione egoistica, incoerente e inaffidabile.
Inoltre, i rivali di Washington, Cina e Russia, si sono dimostrati inaffidabili. Investono in Israele, offrono solo critiche simboliche e sono d’accordo con la soluzione dei due stati proposta ma mai implementata dall’imperialismo statunitense, una soluzione fasulla che, se mai fosse promulgata, ratificherebbe al massimo la conquista e l’apartheid israeliani. Di conseguenza, i palestinesi non possono guardare a nessuno degli stati regionali o a nessuna potenza imperialista come a un alleato affidabile nella loro lotta di liberazione. Ma i palestinesi da soli non possono ottenere la liberazione. Israele è una grande potenza economica e militare di gran lunga superiore. E, a differenza del Sudafrica dell’apartheid, che dipendeva e sfruttava i lavoratori neri, Israele non fa affidamento sulla manodopera palestinese che non gioca un ruolo chiave nel suo processo di accumulazione di capitale.
In effetti, l’obiettivo storico di Israele come progetto di colonizzazione è stato quello di sostituire la manodopera palestinese con quella ebraica. Pertanto, i lavoratori palestinesi da soli hanno il potere di rovesciare il regime dell’apartheid come fecero i lavoratori neri sudafricani.
Quindi, chi sono gli alleati naturali e affidabili dei palestinesi nella lotta per la liberazione? Le classi popolari della regione. Data la loro storia di dominio coloniale, la stragrande maggioranza si identifica con la lotta dei palestinesi. Inoltre, la pulizia etnica della Palestina da parte di Israele ha spinto la sua gente a ingrossare le fila dei rifugiati in tutti gli stati della regione, cementando i legami tra le varie popolazioni. Infine, le masse in Medio Oriente e Nord Africa si oppongono alla collaborazione o alla falsa resistenza dei loro governi a Israele.
Pertanto, le classi popolari della regione sono collettivamente oppresse dai vari sistemi statali, i loro interessi sono legati nel mettere in discussione tale sistema e possiedono un potere enorme per mettere in crisi le diverse economie, inclusa l’industria petrolifera, un potere che può minare l’intera economia mondiale. Questi fatti depongono a favore di ima solidarietà regionale dal basso e basata su un potere enorme in grado puntare a una liberazione collettiva.
Quando i palestinesi oppongono resistenza, questa innesca lotte regionali, e queste lotte si ripercuotono su quella nella Palestina occupata. Nel corso dell’ultimo secolo, la relazione dialettica tra la liberazione palestinese e la lotta popolare regionale è stata ripetutamente dimostrata. Negli anni ’60 e ’70, il movimento palestinese ha innescato un aumento della lotta di classe in tutta la regione. Nel 2000 la Seconda Intifada ha inaugurato una nuova era di resistenza, ispirando un’ondata di organizzazione che è finalmente esplosa nel 2011 con rivoluzioni dalla Tunisia all’Egitto alla Siria.
Allo stesso modo, ispirati da queste rivolte rivoluzionarie, decine di migliaia di rifugiati hanno organizzato proteste nel maggio 2011 vicino ai confini della Palestina con Libano, Siria, Giordania, Cisgiordania e Striscia di Gaza per commemorare la Nakba e chiedere il diritto al ritorno. Centinaia di rifugiati palestinesi residenti in Siria sono riusciti a penetrare le barriere delle alture del Golan ed entrare in Palestina, sventolando bandiere palestinesi e le chiavi delle loro case. Come prevedibile, le forze israeliane hanno represso violentemente queste dimostrazioni, uccidendo dieci manifestanti vicino al confine siriano, altri dieci nel Libano meridionale e uno a Gaza. Nell’estate del 2019, i palestinesi del Libano hanno organizzato proteste di massa nei campi profughi per settimane contro la decisione del Ministero del Lavoro di trattarli come stranieri, un atto che consideravano una forma di discriminazione e razzismo nei loro confronti. La loro resistenza ha contribuito a ispirare la più ampia rivolta libanese dell’ottobre 2019.
Questa storia dimostra il potenziale di una strategia rivoluzionaria regionale. La rivolta unita ha il potere di trasformare l’intero Medio Oriente e Nord Africa, rovesciando regimi, espellendo potenze imperialiste e ponendo fine al sostegno di entrambe queste forze allo Stato di Israele, indebolendolo nel processo. Il ministro di estrema destra Avigdor Lieberman ha riconosciuto il pericolo che le rivolte popolari regionali rappresentavano per Israele nel 2011 quando ha affermato che la rivoluzione egiziana che ha rovesciato Hosni Mubarak e ha aperto la porta a un periodo di apertura democratica nel paese, era una minaccia maggiore per Israele rispetto all’Iran.
Questa strategia rivoluzionaria va completata nelle metropoli capitaliste con la solidarietà della classe lavoratrice contro i governi imperialisti. Non si tratta di un atto di carità, ma dell’interesse di quelle classi, i cui soldi delle tasse vengono dirottati da programmi sociali ed economici di cui c’è un disperato bisogno verso il sostegno a Israele e le cui vite vengono regolarmente sprecate in guerre imperialiste.
Ma tale solidarietà non avverrà automaticamente; la sinistra deve coltivarla politicamente e mobilitarsi nella pratica. Il compito più importante è quello di convincere sindacati, gruppi progressisti e movimenti a sostenere la campagna per il BDS, Boicotta, Disinvesti, Sanziona contro Israele per porre fine al sostegno politico, economico e militare imperialista a Tel Aviv. Tali lotte e solidarietà possono indebolire le potenze imperialiste, Israele e tutti gli altri regimi dispotici della regione, aprendo lo spazio per una resistenza popolare di massa dal basso.
Questa strategia rivoluzionaria regionale e internazionale è l’alternativa all’affidamento al cosiddetto Asse di Resistenza dell’Iran. Quello è fallito. Bisogne costruire un autentico asse di resistenza dal basso: le classi popolari in Palestina e nella regione sostenute dalla solidarietà anti-imperialista in tutti gli stati delle grandi potenze. Solo attraverso una tale strategia possiamo costruire un contropotere per liberare la Palestina, la regione e il nostro mondo dalle grinfie dell’imperialismo e del sistema capitalista globale che lo sostiene.