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La militarizzazione dell’Europa al tempo della policrisi

La tendenza al declino statunitense apre nuove instabilità affrontate con nuovi progetti di riarmo e con una prospettiva di dominio imperialista. Alle forze pacifiste e di sinistra spetta il compito di proporre soluzioni alternative.

La nuova era che il blocco reazionario raggruppato attorno a Trump aspira a imporre al mondo è appena cominciata, ma già vediamo le contraddizioni e la resistenza di diversi ambienti che si oppongono a questo progetto. In questo articolo cercherò di evidenziare alcune caratteristiche di questo momento storico prima di passare alle sue implicazioni per l’Europa.

La tendenza politico-ideologica internazionale fondamentale di questo periodo è l’ascesa di un autoritarismo reazionario, il cui punto di riferimento è un “fascismo della fine dei tempi” (Klein e Taylor, 2025), guidato da Trump e dai suoi tecno-oligarchi intellettuali (Morozov, 2025), e che trova la sua espressione estrema nello Stato genocida di Israele guidato da Netanyahu. Questo fenomeno fa parte di una policrisi globale – un insieme di crisi interdipendenti, tra le quali occupa un posto di rilievo la crisi climatica ed ecosociale – che, nel contesto di questa analisi, mette in discussione la globalizzazione capitalistica neoliberista e il sistema gerarchico imperiale che ha prevalso dalla caduta dell’URSS.

In realtà, come hanno già analizzato Arrighi e Silver [1], Günder Frank e Wallerstein, tra gli altri, la tendenza al declino dell’egemonia americana, che si sta manifestando con forza nell’attuale policrisi, risale a molto tempo fa. Tutti hanno visto questa tendenza come parte della transizione dal XX al XXI secolo e, più specificamente, come parte dei cambiamenti in atto nell’economia globale – soprattutto con l’ascesa della Cina e del Sud-Est asiatico – nonché delle conseguenze dell’enorme fallimento delle guerre guidate dagli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan e della loro crisi di iperestensione strategica.
Sulla scia della Grande Recessione del 2008 e della crisi sanitaria del 2020, questi cambiamenti geopolitici si sono inoltre verificati nel contesto di un capitalismo largamente finanziarizzato
che malgrado i progressi tecnologici e il livello estrememente alto di sfruttamento con cui si appropria e domina la maggior parte dell’umanità e del pianeta terra, non riesce a creare le condizioni necessarie per uscire dal lungo periodo di stagnazione che è cominciato alla fine degli anni 70 del secolo scorso.

Da un momento reazionario a una nuova era globale

In questo contesto generale di trasformazione qualitativa del tipo di capitalismo che abbiamo conosciuto finora (Velásquez, 2025) e di crisi della governance globale, l’esaurimento delle democrazie liberali, il declino del “neoliberismo progressista” e il fallimento del ciclo di ascesa al potere di diverse sinistre (simboleggiato soprattutto nel contesto europeo dalla sconfitta subita in Grecia nel 2015) hanno aperto la strada al consolidamento di un’estrema destra internazionale che sta conquistando l’egemonia politica e culturale attraverso l’alleanza di diverse forze sociali – che vanno da frazioni dell’oligarchia a settori popolari indigeni – attorno a diverse versioni di etno-nazionalismo xenofobo, antifemminsta e negazionista della crisi climatica.

Quest’ultimo punto si trova oggi soprattutto nella grande potenza americana, già sulla via del declino, con la costituzione di un blocco in cui convergono gli “intellettuali” tecno-oligarchi, il capitale fossile e settori della classe media e operaia bianca. È così che è salito al potere un movimento suprematista bianco, oligarchico e protezionista, pronto a realizzare il suo progetto MAGA di fronte a quello che, nelle parole della sua ala più millenarista, implica l’ingresso in una fase apocalittica in cui l’urgenza è quella di costruire, come denunciano anche Klein e Taylor (2025), una “nazione fortezza” pronta a assicurarsi tutte le risorse necessarie – e sempre più rare – per sopravvivere al cataclisma imminente.

“Questo è il contesto generale in cui va compresa l’inversione di rotta di Trump in politica estera, sia sul terreno commerciale – come vediamo con la guerra dei dazi, in particolare con la Cina, che si sta ribaltando contro gli Stati Uniti (Katz,2025) – che sul piano geopolitico. Su questo fronte, da un lato, sta tentando una nuova espansione imperiale (Groenlandia, Canale di Panama…) e, dall’altro, sta neutralizzando il suo vecchio nemico russo sulla guerra in Ucraina grazie a un accordo con Putin, con il quale non nasconde le sue affinità ideologiche. In entrambi i casi, questa inversione di rotta implica anche un cambiamento nelle relazioni con l’Uw, anche se non è ancora chiaro quale sarà la sua portata, in particolare per quanto riguarda la Nato e la presenza militare statunitense sul territorio europeo.

Il riarmo del pilastro europeo della Nato

Sebbene si debba ricordare che il monopolio sistematico esercitato sul concetto di Europa da un’Ue divisa e con una forza trainante tedesca in declino rimane abusivo e serve gli interessi del vecchio eurocentrismo occidentale, sembra chiaro che le sue élite stiano ora approfittando dell’alibi offerto da Trump per rivitalizzare il loro progetto falsamente descritto come “autonomia strategica”. Il loro obiettivo è quello di arrestare la crescente perdita di centralità sulla scena mondiale ridefinendo il loro ruolo nella sfera economica e commerciale, legandola strettamente a quella militare, come confermato nel Libro bianco sulla difesa (Jaén, 2025).

Questo piano prevede un budget di 800 miliardi di euro (di cui 150 miliardi ottenuti sul mercato dei capitali) fino al 2030 (con un massimo dell’1,5% all’anno), che consentirà agli Stati di aggirare le regole sui deficit di bilancio e che, inoltre, andrà principalmente a beneficio dell’industria militare statunitense. Un piano che, d’altronde, non viene presentato come incompatibile con l’adesione alla Nato – che viene citata 25 volte nel documento – al contrario.

In realtà, questo porterà a un rafforzamento del pilastro europeo della Nato. Un’alleanza militare che, non dimentichiamolo, continua ad attribuire importanza strategica alle “minacce” provenienti dalla frangia meridionale, cioè dall’Africa, dove, oltre alla persistenza del ruolo tradizionale dell’imperialismo francese, si sta già sviluppando un’intensa competizione per il saccheggio di minerali chiave, in particolare con la Cina, considerata un “rivale sistemico” dagli Stati Uniti e dalla Nato.

Per giustificare questo balzo in avanti nella loro militarizzazione, le élite europee hanno scelto definitivamente di considerare la Russia come una “minaccia esistenziale” ai “valori democratici” che pretendono di difendere, mentre esse stesse continuano a violarli ogni giorno che passa. Lo dimostrano chiaramente la loro complicità nel genocidio israeliano contro il popolo palestinese (come vediamo anche nel caso della Spagna, con i contratti del governo con le aziende israeliane [2]) e l’attuazione di una politica migratoria razzista che viola i diritti fondamentali come il diritto di asilo. A tutto questo si aggiunge la crescente criminalizzazione delle proteste di molti movimenti sociali come lo vediamo nel caso spagnolo con la persecuzione della solidarietà con la Palestina o la repressione e l’incarcerazione di attivisti antifascisti (come i 6 di Saragozza) e di lavoratori in sciopero (come i 6 di Suiza).

Inoltre, l’uso del termine “riarmo” è un esempio lampante di “nuova lingua”, perché queste élite vogliono dare l’impressione che “l’Europa” sia disarmata quando in realtà, come ci ricorda Gilbert Achcar, “l’Unione Europea ha più di tre volte la popolazione, più di dieci volte l’economia e tre volte la spesa militare, compreso il Regno Unito, rispetto alla Russia – nonostante il fatto che la Russia sia direttamente coinvolta in una guerra su larga scala e quindi al massimo delle sue capacità, a differenza dell’Europa. In queste condizioni, sarebbe assurdo ipotizzare seriamente un’invasione russa dell’Europa” (Desnos, 2025).

Se l’argomento ideologico, non più di quello puramente militare, non regge, si possono aggiungere altre ragioni di peso per respingere la tesi che la Russia costituisca una “minaccia esistenziale” per l’Ue. In primo luogo, perché la principale minaccia a questa “Europa” si trova in patria, nell’ascesa di un’estrema destra reazionaria che, nei prossimi anni, potrebbe andare al potere in Paesi chiave come Francia e Germania e che, inoltre, beneficerebbe certamente dell’appoggio di Trump; in secondo luogo, perché il bilancio, a più di tre anni dall’ingiustificata invasione dell’Ucraina, mostra che la Russia non è riuscita a occupare più del 20% del suo territorio, ed è quindi difficile credere che possa imbarcarsi in nuove avventure militari in altri Paesi del suo fronte occidentale. Per quanto riguarda questi ultimi, è chiaro che è disposta a utilizzare vari mezzi di pressione per poter contare su “regimi amici”, come già avviene con l’Ungheria, ma non è militarizzando ulteriormente i Paesi vicini che si riuscirà a neutralizzare questa guerra ibrida.

Sembra chiaro, tuttavia, che Putin sarebbe pronto a sfruttare la finestra di opportunità offertagli da Trump per ottenere il riconoscimento reciproco delle loro sfere di influenza (tu Ucraina, io Groenlandia, il Canale di Panama e i miei Stati “vassalli”…) che, non prendiamoci in giro, lo porterebbe in ultima analisi ad accettare un’UE in cui i suoi alleati ideologici continuerebbero a moltiplicarsi. Questa è la linea seguita da alcuni ideologi vicini a Putin, più interessati a dirigere il loro espansionismo verso il loro “estero vicino” nello spazio eurasiatico [3].

Perché, come sottolinea Hélène Richard:“I rischi corsi da Mosca per mantenere Kiev forzatamente nella sua orbita non sono paragonabili a quelli che dovrebbe correre per coinvolgere altri Paesi, anche quelli con minoranze russofone, come Lituania, Estonia e Lettonia. Perché anche se ammettessimo che Mosca avesse un’insaziabile sete di territorio, sarebbe molto difficile soddisfarla. Attaccare gli Stati baltici equivarrebbe ad affrontare una coalizione NATO che potrebbe comprendere una trentina di Paesi europei, senza contare gli Stati Uniti” (Richard, 2025).

Infine, non dimentichiamo che, a differenza della defunta Urss, la Russia di oggi è una formazione sociale capitalista con caratteristiche distinte da quelle dell’Occidente, ma da cui quest’ultimo dipende per le materie prime essenziali, come dimostra il fallimento della politica di sanzioni messa in atto dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022.

È innegabile che la Russia di Putin abbia un progetto nazionalista di “Grande Russia” che rappresenta una minaccia esistenziale per l’Ucraina. È quindi legittimo sostenere il popolo ucraino – e, al suo interno, i settori della sinistra che criticano le politiche neoliberiste e filoatlantiche di Zelenski – nella sua giusta resistenza all’occupazione russa e nella sua richiesta di una pace giusta e duratura che non porti alla divisione della sua terra e del suo territorio tra Putin e Trump.

Ma ciò non significa usare questa guerra come alibi per un “riarmo” che, oltretutto, è apertamente offensivo, perché ciò significherebbe entrare in una nuova fase della corsa agli armamenti (comprese le armi nucleari, come la Polonia sta già chiedendo di fronte alla potenza con il più grande arsenale nucleare), con il rischio di degenerare in una guerra che sarebbe poi direttamente inter-imperialista.

L’unico scopo del piano ReArm Europe è quindi quello di contribuire a imporre un salto di qualità nel rafforzamento dell’UE come blocco imperialista, in modo da consentirle di riacquistare il suo ruolo di primo piano nella crescente competizione inter-imperialista su scala globale per il controllo delle risorse scarse e il saccheggio dei beni comuni, sia nel Nord che nel Sud del mondo. In breve, si tratta di attuare un euro-keynesianismo militare come nuova versione della dottrina dello shock, che non solo non aiuterebbe a superare la crisi di redditività del capitalismo (Roberts, 2025), ma soprattutto andrebbe a scapito della più necessaria e urgente lotta alla crisi climatica, nonché delle conquiste sociali, culturali e democratiche che non ci sono ancora state strappate alla fine del lungo ciclo neoliberista. Uno scenario che senza dubbio sarebbe ancora più favorevole all’ascesa dell’estrema destra nei nostri Paesi e al “cambio di regime” auspicato da J. D. Vance al vertice di Monaco.

Che tipo di sicurezza, che tipo di difesa?

È quindi urgente confutare il discorso militarista, securitario e razzista sulla sicurezza sostenuto dalle élite europee, così come la loro cultura della paura – con l’assedio sociale che ne consegue – e opporvi un altro discorso basato sulla ricerca di una sicurezza eco-sociale e smilitarizzata su scala europea e globale.

Per questo motivo, come sinistra alternativa e pacifista radicale, non possiamo ignorare il dibattito sui modelli di difesa di fronte a chi ci accusa di non proporre alternative. In realtà, come ha recentemente sottolineato Jorge Riechmann (2025), a partire dagli anni 80 ci sono stati interessanti contributi e vivaci dibattiti su questi temi all’interno del movimento pacifista europeo e anche in Spagna.

All’epoca si trattava di rispondere all’escalation degli armamenti e del nucleare su scala europea, nonché all’impegno del governo di Felipe González di rimanere nella Nato, culminato in un referendum dal quale uscimmo sconfitti per i motivi che abbiamo avuto modo di ricordare in altri lavori [4]. È a questo scopo che abbiamo avuto l’opportunità di riflettere su proposte di sistemi alternativi di deterrenza di tipo difensivo – e per nulla aggressivo – che escludessero le armi di distruzione di massa e privilegiassero forme di resistenza attiva, non violenta e basata sull’autorganizzazione popolare. E’ su questa linea che si collocavano il modello elaborato da Horst Afheld, citato da Riechmann nel suo articolo, e altri modelli discussi nelle varie giornate di studio del Ceop (Coordinadora Estatal de Organizaciones Pacifistas, Coordinamento Nazionale delle Organizzazioni per la Pace), che hanno beneficiato anche della partecipazione di eminenti specialisti, tra cui Johan Galtung, purtroppo scomparso nel febbraio 2024.

All’epoca ci dissero che non avevamo nulla da opporre alla corsa agli armamenti e alla Nato, ma in realtà stavamo costruendo un’alternativa scommettendo sulla denuclearizzazione dell’Europa, dall’Atlantico agli Urali, e sul rifiuto dell’allineamento con uno dei due blocchi, Nato e Patto di Varsavia. Non abbiamo vinto la battaglia, ma è rimasta una cultura pacifista e antimilitarista che ha trovato continuità nel movimento per il rifiuto della leva militare, nella campagna “No alla guerra in Iraq” e in vari centri e collettivi di ricerca antimilitaristi e pacifisti che sono ancora attivi in diverse parti d’Europa e in Spagna e che stanno sviluppando proposte su questi e altri temi.

Oggi, in un contesto diverso ma più pericoloso, spetta a noi rilanciare e aggiornare questi dibattiti e queste proposte per dimostrare che abbiamo davvero soluzioni alternative da proporre di fronte all’accelerazione della catastrofe climatica, sociale e militarista in cui ci sta trascinando il capitalismo del disastro, una vera e propria minaccia per la sopravvivenza della vita su questo pianeta.

È chiaro che l’impegno per modelli alternativi di difesa è inseparabile dalla più ampia mobilitazione unitaria possibile oggi contro il piano di riarmo, per lo scioglimento della Nato e lo smantellamento di tutte le basi militari statunitensi in questo continente, per andare verso un’Europa decoloniale, libera dal nucleare e pronta a fare pace con tutti i popoli e con questo pianeta.

*Jaime Pastor, politologo e membro della redazione di Viento Sur

 

Riferimenti

Arrighi, G. e Silver, B. J., éd. (2000) Chaos et ordre dans le système-monde moderne. Madrid: Akal.

Desnos, Gaëlle (2025) «Gilbert Achcar: «Pour un désarmement mondial synchronisé», CQFT, 04.04.2025: https://cqfd-journal.org/Pour-un-desarmement-mondial

Jaén, Jesús (2025) « ¿A dónde va Europa ? Acerca del rearme y la defensa »  Viento Sur, 24/04,  https://vientosur.info/a-donde-va-europa-acerca-del-rearme-y-la-defensa/

Katz, Claudio (2025) « El desmadre programado que desborda a Trump » , Viento Sur, 16/04, https://vientosur.info/el-desmadre-programado-que-desborda-a-trump/

Klein, Naomi et Taylor, Astra (2025) « L’essor du fascisme de la fin des temps, originellement publié sur le Guardian le 13/04, https://www.europe-solidaire.org/spip.php?article74594

Morozov, Evgeny (2025) « Los nuevos legisladores de Silicon Valley) », sinpermiso, 12/04,  https://sinpermiso.info/textos/los-nuevos-legisladores-de-silicon-valley

Richard, Hélène (2025) «La menace russe est-elle réelle?», Le Monde Diplomatique 354, avril, p13

Riechmann, Jorge (2025) « Por una defensa (auténticamente) no ofensiva. Sobre el rearme y militarización que propone la UE », Viento Sur, 31/03/, https://vientosur.info/por-una-defensa-autenticamente-no-ofensiva-sobre-el-rearme-y-militarizacion-que-propone-la-ue/

Roberts, Michael (2025) «From welfare to warfare: military Keynesianism», 22/03,

https://thenextrecession.wordpress.com/2025/03/22/from-welfare-to-warfare-military-keynesianism/

Velásquez, Diego (2025) « Desborde reaccionario del capitalismo : la hipótesis tecnofeudal
Entrevista a Cédric Durand , Nueva Sociedad, janvier-février 2025, https://nuso.org/articulo/315-desborde-reaccionario-del-capitalismo-la-hipotesis-tecnofeudal/